NEL RICORDO DI MARCO PANTANI

                                          

                                                                           

Ciao Marco,

eri un campione e te ne sei andato come l’ultimo degli ultimi, come uno sconosciuto. Era il giorno di San Valentino e forse te ne sei andato perché pensavi che nessuno ti volesse più bene, perché ti sentivi solo, abbandonato. Sembra impossibile anche a me passare dalle più alte vette della popolarità al più basso anonimato in così poco tempo. Ora anche coloro che ti avevano dimenticato, si, proprio quelli che dicevano che tu non saresti più stato in grado di salire in bicicletta e che eri massacrato dai rimorsi ti piangono e fingono commozione per averti perso. Tu eri uno che voleva vivere fino in fondo e che non amava affatto i compromessi e le mezze misure: hai deciso di andartene ed ora mi sembra di sentirti dire: “Visto che vi mancavo? Perché non ve ne siete accorti quando ero con voi?” Questo schifo di mondo che crea miti a scopo consumistico e li distrugge senza pietà ti aveva dimenticato –è vero- e forse anche una parte del mondo del ciclismo lo aveva fatto, ti aveva considerato un capitolo chiuso, un caso irrecuperabile.

Non ti ha mai lasciato la tua gente, tutti quelli che al raduno delle corse chiedevano: “C’è Pantani? Come sta?” Nessuno sapeva rispondere perché ti eri isolato dal mondo, chiuso a riccio nella tua solitudine, nel tuo dolore grande. Ora c’è chi speculerà sulla tua morte, chi dirà che questa è la fine che si rischia se si pratica il ciclismo, una disciplina dove “ci si deve” dopare per forza. No, credo che il dovere di tutti sia proprio quello di scindere le cose, di parlare delle tue imprese e basta, di rivivere quelle emozioni che ci hai dato. Lo ammetto, qualche volta mi sei stato antipatico, forse perché ti arrampicavi sulle salite con una facilità irridente ed io ho sempre sofferto in montagna e non riuscivo a capire come potessi andare così forte. Certo, chi non ti conosce fa l’equazione più semplice e più stupida: andava forte, quindi si dopava. Il doping esiste purtroppo, ma è d’obbligo fare chiarezza: caro Marco, so che tu non sei mai stato trovato positivo ad una sostanza ed hai sempre superato tutti i controlli antidoping a cui hai dovuto sottoporti. Quella giornataccia di Madonna di Campiglio è rimasta nelle nostre menti, ma proprio per questo non possiamo parlare a caso: avevi l’ematòcrito oltre il 50% e questo era in contrasto con il protocollo del C.O.N.I. dal nome beffardo “io non rischio la salute” che prevedeva di sospendere dall’attività i corridori che superavano tale limite, salvo poi reintegrarli se un controllo dopo quindici giorni avesse dato esito favorevole. Tu hai chiuso subito la partita; forse sarebbe stato più producente ripresentarsi con il braccio teso dopo due settimane, ma tu le cose le volevi vivere tutte e tutte di un fiato. Non possiamo fare finta di dimenticare che proprio quelli erano i tempi in cui tale protocollo iniziava ad essere applicato e non possiamo ignorare le polemiche che c’erano sulle modalità, sull’uso del laccio emostatico. Si sa che il laccio rallenta di molto la circolazione e provoca una stasi dei globuli rossi; ovviamente in tal modo il sangue risulta più denso ed il valore dell’ematòcrito schizza in alto. Dio non voglia che alla base del tuo dramma ci sia un errore di forma di questo tipo, Dio non voglia.

                                                          

Pensiamo in positivo, pensiamo a chi ti voleva e ti vuole bene: pensiamo alla gente che non ha mai smesso di inneggiare al tuo nome, di scrivere striscioni del tipo “Pantani sei sempre il migliore” anche quando non eri più il primo della classe. Pensiamo al tuo gruppo, a Luciano Pezzi, un vero padre per te che avrebbe dato il cuore per il suo Marco. Pensiamo al tuo gruppo storico: Fontanelli, Siboni, Conti, Podenzana, tutti gregari con la “g” maiuscola, tutta gente che per te ha dato fino all’ultima goccia di energia e che continuerà a difenderti contro chi cerca di infangare il tuo mito. Si, il tuo era un gruppo vecchio stile: tu il capitano e tutti gli altri per te, solo per te; ma tu sapevi ricompensarli e scendevi dal podio per ringraziarli, per dirgli che un pezzo della tua vittoria, della tua impresa era anche loro. Per loro eri il “Panta”; sai che nel mondo del ciclismo i nomi si accorciano perché si devono chiamare i corridori anche quando c’è poco fiato per farlo e loro facevano gruppo attorno a te: li vedevamo alti e fieri e tu nascosto in mezzo, quasi invisibile. Poi la strada che sale, l’ultima trenata ed il tuo volo solitario. Tante volte abbiamo visto questo copione, tante che ci sembrava che fosse facile fare così e quasi non ci rendevamo conto di come andassi forte. Tutti abbiamo in mente il gesto di Pensec in un Tour de France: tu lo superi in salita a velocità doppia e lui allarga le braccia quasi a dire: “come si fa ad andare così?” Tutti ricordiamo i duelli con Tonkov e la salita di Oropa: tu che metti piede a terra e che rimonti tutto il gruppo fino a vincere la tappa. Questi sono momenti che nessuno ci potrà più togliere, ma forse noi tutti abbiamo dato peso solamente al Pantani corridore e poco al Pantani uomo, al Pantani con i suoi problemi, ad un ragazzo che aveva la “colpa” di essere nato in una terra dove la gente lavora, ma si vuole anche divertire. Non piaceva il campione trasgressivo, forse ci sarebbe piaciuto di più quello che andava a letto alle nove e che non mangiava mai la pizza, così avremmo messo in relazione la vita certosina con le grandi prestazioni. Invece no, nei ritiri con la squadra i tuoi compagni arrivavano più allenati di te e tu andavi via e li lasciavi sul posto appena la strada iniziava a salire. Ora tutti parlano di te, ma chi segue il ciclismo sa delle tue imprese anche da dilettante, del Giro d’Italia vinto in salita, dei duelli con Casagrande e con Belli.

Si, caro Marco, a me sembra proprio che tu sia stato vittima di una persecuzione; tu non eri un assassino e non eri andato contro nessuna legge; nonostante ciò c’erano sette procure che indagavano su di te. Credo che neppure il mostro di Firenze avesse tanto seguito e forse qualche magistrato ha un po’ giocato sul fatto di avere tra le mani il “pesce grosso”. Questo è dimostrato dal fatto che tanti tuoi colleghi sono stati trattati diversamente da te. Volevano eliminarti? Volevano farti fuori? Non lo so, ma so che sarebbe stato scomodo un Pantani che è in crisi e che torna a vincere. Forse faceva più impatto l’immagine del campione finito, dell’uomo sofferente. Solo chi ha corso in bicicletta può capire quanta sofferenza devi avere passato: quando sei in salita e senti il sapore del sangue in gola e cominci ad avvertire un leggero senso di nausea; quello è paradossalmente il momento in cui devi dare ancora qualcosa per staccare l’avversario, quello è il momento in cui ti è richiesto di soffrire ancora un po’ di più. Poi la liberazione dell’arrivo, le tensioni che si sciolgono, la gioia. Anche la tua vita ti ha richiesto tanta sofferenza: gli incidenti, il crollo, il ritorno e poi un altro crollo, quello definitivo purtroppo.

In alcuni casi ci hai fatto ricordare i momenti in cui erano stati aumentati i premi per il secondo classificato –erano i tempi di Binda prima e di Coppi poi- ed ora ritrovi quei miti lassù. Ritrovi Fabio Casartelli; avevi un suo ritratto nel corridoio di casa tua quasi a ricordare che c’è un aspetto difficile, triste della vita da superare. Ora hai fatto quel salto, hai superato anche tu l’ultima salita; l’hai fatta in pieno, alla tua maniera. Ritto sui pedali e con grinta, forse hai sentito quel senso opprimente di nausea, o forse no, non eri più in grado di sentirlo. Ora tutti ti piangono, o fanno finta di piangerti ed anche chi ti conosce poco specula sul tuo nome per farsi pubblicità. Questo è il mondo di oggi: business, soldi e nessuno spazio per i sentimenti veri, quelli in cui anche tu credevi e che pensavi ti avessero tradito. Il modo migliore di ricordarti sarà quello di continuare a percorrere in bicicletta le dure salite che tu percorrevi con apparente facilità: ci vedrai sbuffare, imprecare, cercare un rapporto che non c’è, dire “ma chi me lo ha fatto fare?” e tu ci guarderai da lassù con un sorriso. Questo sarà stato il modo migliore per ricordarti ed alla tua bellissima grinta faccio un piccolo regalo: il libro che ho scritto su di te . Ciao Marco, alla prossima salita. 

                                                                   R

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